06 March 2024
Molti fattori – l’impiego di una lingua straniera o sconosciuta, la mancanza di assistenza legale, le scarse reti di supporto – possono impedire l’accesso dei singoli a procedure eque di immigrazione e di asilo. È inoltre possibile che vengano utilizzate delle prove segrete per rifiutare le domande dei richiedenti o negargli l’accesso al territorio. Statewatch ha pubblicato un questionario da compilare per gli individui interessati, i loro rappresentanti legali e gruppi di sostegno, al fine di raccogliere ulteriori informazioni sulla portata di questo fenomeno e sui possibili rimedi legislativi offerti dalle leggi in materia di protezione dei dati.
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Il sondaggio è disponibile online qui.
I trasferimenti di dati
L’uso di prove segrete è stato determinante nel negare l’accesso allo spazio Schengen a un’attivista ucraina residente in Polonia, nell’allontanamento per dieci anni di un giornalista britannico dal territorio Schengen, nel rifiutare un visto ad un attivista saharawi che aveva vissuto in Italia da minorenne con regolare permesso di soggiorno, e nel caso di un richiedente asilo a Cipro che è stato giudicato una minaccia alla sicurezza pubblica dalle autorità perché compariva in un database internazionale.
In tutti questi casi, le persone interessate sono state notificate che le informazioni che hanno portato alla loro detenzione e esclusione erano segrete, il che mette a repentaglio la possibilità e l’efficacia di un eventuale ricorso in giustizia.
Secondo Gruša Matevžič del Comitato ungherese di Helsinki (Hungarian Helsinki Committee), ‘quando si tratta di stabilire se un individuo costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale, troppo spesso i tribunali si fidano ciecamente del parere delle agenzie di sicurezza e non lo mettono in discussione.’
Quanti altri casi simili ci sono stati? Inoltre, le leggi sulla protezione dei dati potrebbero fornire un mezzo per opporsi alla riservatezza in tali casi? Un progetto di Statewatch mira a rispondere a questi quesiti, e il questionario pubblicato oggi cerca il contributo dalle persone interessate, i loro rappresentanti legali, reti di sostegno, e altri.
Una condivisione di informazioni senza frontiere
Molte delle politiche UE degli ultimi 20 anni hanno favorito la creazione di database e sistemi d’informazione comuni che permettono di raccogliere e condividere informazioni su migranti e richiedenti asilo con le forze dell’ordine e le autorità di frontiera.
La condivisione di informazioni è sempre più gettonata in Europa, non solo nell’ambito di collaborazioni tra autorità europee ma anche con quelle degli stati terzi: tra gli esempi figurano il rafforzamento di Europol per potenziare lo scambio di informazioni con paesi terzi, la proposta di regolamento concernente la condivisione delle informazioni in materia di sicurezza e la trasmissione di dati da parte di stati balcanici tramite Frontex, pratica che ha destato parecchi interrogativi.
Come far valere il diritto alla protezione dei dati nella pratica
Uno dei principi cardine delle leggi in materia di protezione dei dati è il diritto che gli utenti hanno di accedere ai dati personali che li riguardano e di correggere o cancellare informazioni inesatte o ottenute illecitamente.
La Corte di Giustizia dell’UE definisce i dati personali come ‘qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile’ e ha confermato che il diritto di accesso ‘non è limitato alle informazioni sensibili o di ordine privato, ma comprende potenzialmente ogni tipo di informazioni, tanto oggettive quanto soggettive, sotto forma di pareri o di valutazioni’.
Quest’ampia definizione è di importanza vitale nei casi concernenti la sicurezza nazionale in quanto le valutazioni del rischio si avvalgono non solo di fatti concreti, ma anche delle opinioni e dei pareri dei funzionari statali.
Le nuove leggi UE prevedono una procedura decisionale accelerata per i richiedenti asilo segnalati come rischio per la sicurezza nazionale, minando in tal modo i diritti procedurali esistenti e causando, verosimilmente, la detenzione e deportazione degli interessati. È probabile che, in futuro, la possibilità di opporsi efficacemente a queste valutazioni acquisirà un’importanza maggiore.
Inoltre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso diverse sentenze riguardanti il diritto a un ricorso effettivo dei richiedenti i cui dati sono stati condivisi a livello transfrontaliero.
Quando le autorità olandesi hanno rifiutato diverse richieste di visto sulla base di informazioni condivise da altri stati, la Corte ha dichiarato che lo stato che rifiuta la domanda è obbligato come minimo a condividere il motivo specifico del rifiuto e l’identità del paese che ha sollevato l’obiezione riguardante il richiedente, al fine di consentire a quest’ultimo l’esercizio effettivo del proprio diritto a ricorrere tale valutazione.
Le autorità e i giudici potrebbero anche dover valutare l’efficacia delle procedure di ricorso a loro disposizione negli altri Stati membri o il rischio di maltrattamenti e violazioni di diritti umani e verificare se i paesi terzi che forniscono informazioni abbiano norme in materia di protezione dei dati equivalenti a quelle dell’UE.
Da oltre un decennio, la giurisprudenza della Corte in materia di accesso alle prove in casi di sicurezza nazionale ha chiarito che il diritto ad un ricorso efficace può solo essere limitato in base a ciò che si ritiene strettamente necessario e che le autorità sono tenute come minimo ad informare il richiedente della sostanza dei motivi su cui si basa la decisione.
La Corte in Lussemburgo ha anche chiarito che i tribunali nazionali sono tenuti a valutare ogni singolo caso in maniera scrupolosa. Una persona può, per esempio, essere detenuta solamente se il suo comportamento costituisce una ‘minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società o la sicurezza interna o esterna dello Stato membro interessato.’
L’accesso ai dati personali
Tuttavia, pochi soggetti interessati esercitano il loro diritto di accedere alle informazioni che li riguardano. Un rapporto del 2014 sul sistema d'informazione Schengen II – il database nel quale sono conservate molte informazioni, tra cui quelle in merito ai divieti d'ingresso nello spazio Schengen – ha concluso che ‘sono poche le richieste inoltrate da parte degli interessati nell’esercizio dei loro diritti in confronti al numero di dati inseriti’.
Lo stesso rapporto ha anche indicato che la maggior parte degli stati non condividono le motivazioni del rifiuto di accesso alle informazioni, una pratica che dovrà cambiare in quanto, in una sentenza dell’anno scorso, la Corte di Giustizia ha dichiarato che le autorità non possono sistematicamente rifiutare le richiedeste d’accesso.
Inoltre, una persona deve poter presentare ricorso presso un’autorità giudiziaria in grado di valutare ‘l’esistenza e la fondatezza dei motivi che hanno giustificato la limitazione di tali informazioni e anche la corretta esecuzione, da parte dell’autorità di controllo, del suo compito di verifica della liceità del trattamento.’
Aiuta Statewatch a raccogliere informazioni
Statewatch ha pubblicato un questionario per ottenere ulteriori informazioni sui casi in cui le persone accusate di costituire una minaccia alla sicurezza pubblica si sono viste negare l’accesso alle relative informazioni, nonché ad un ricorso efficace.
I risultati del questionario informeranno delle successive ricerche sulla maniera più efficace di usare le leggi in materia di protezione dei dati in modo da garantire il diritto ad un ricorso efficace e per produrre materiale informativo e didattico che possa essere di aiuto per i rappresentanti legali, il personale addetto all’assistenza e gli stessi interessati.
Il sondaggio è disponibile online qui.
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